Un recente studio di Wu et al. (2024) ha messo in luce la distinzione fondamentale tra tumori “caldi” e “freddi”, aprendo nuove prospettive per migliorare l’efficacia delle terapie immunitarie contro il cancro. Sebbene l’immunoterapia, in particolare il blocco dei checkpoint immunitari (ICB), abbia rivoluzionato il trattamento oncologico, solo una parte dei pazienti risponde positivamente. La differenza risiede nella risposta immunitaria del microambiente tumorale: i tumori “caldi”, caratterizzati da un’alta infiltrazione di cellule T, rispondono meglio all’ICB, mentre quelli “freddi” mostrano una resistenza naturale a tali terapie (Wu et al., 2024).
Per superare queste barriere, i ricercatori propongono di combinare l’ICB con altre terapie per trasformare i tumori “freddi” in “caldi”, promuovendo così una maggiore infiltrazione immunitaria nel tumore. Vari fattori, come l’espressione di antigeni e le modifiche epigenetiche, giocano un ruolo chiave nella capacità delle cellule T di riconoscere e attaccare le cellule tumorali. Ad esempio, nei tumori con una ridotta espressione antigenica, l’uso di inibitori dell’autofagia potrebbe aumentare l’efficacia dell’ICB, migliorando la presenza di cellule T citotossiche nel tessuto tumorale (Wu et al., 2024).
Inoltre, le cellule dendritiche, essenziali per attivare le risposte immunitarie, risultano spesso limitate nelle loro funzioni all’interno dei tumori, riducendo l’efficacia delle terapie. Comprendere meglio questi meccanismi immunologici potrebbe permettere lo sviluppo di approcci personalizzati, favorendo la conversione dei tumori “freddi” in “caldi” e migliorando così i risultati clinici per molti pazienti (Wu et al., 2024).